Ksamil-Albania

di Paolo Mastroianni

E il padrone, come al solito senza parlare, ha intascato il danaro e con un cenno del capo mi ha passato la busta coi pesci che un turista aveva appena comprato. Quattro spigole. Ho iniziato a pulirle. L’uomo si è fatto vicino: barba d’argento, occhi castani spensierati e guizzanti in un volto abbronzato e rugoso. Sicuramente italiano.

Abbassato lo sguardo, ho affondato il coltello nel primo pesce, l’ho aperto, l’ho ripulito con un giro veloce lasciando cadere le interiora nell’acqua, poi mi sono abbassato, ho allungato il braccio aldilà della chiazza rossastra e marrone di sangue e interiora intorno ai miei piedi, l’ho sciacquato con acqua di mare pulita e mi sono rialzato incrociando gli occhi attenti dello straniero: forse non aveva mai visto nessuno pulire del pesce nel mare. Ne ho approfittato e gli ho chiesto:

– Per quale motivo gli Inglesi non vogliono stare in Europa?

Sorpreso, è rimasto un poco in silenzio. Tanto per prendere tempo, ha fatto anche lui una domanda:

-Com’è che parli italiano adesso che avete televisione e canali e programmi?

-Perché voglio andare in Italia, perché anche se molti Albanesi da un pezzo dicono che ci sono paesi migliori, l’Italia è sempre l’Europa, ed è per questo che non capisco gli inglesi.

L’uomo ha chiuso e riaperto gli occhi. Poi ha iniziato a parlare, con lentezza, scandendo ogni parola:

-E’ che evidentemente gli inglesi pensano che stare in Europa sia peggio per loro, per la loro economia, per il fatto che le persone dagli altri paesi d’Europa possono andare liberamente da loro…

Ho risposto:

-Resteranno isolati, come noi che non sopportiamo nessuno e nemmeno noi stessi, la Grecia che ci ha rubato la storia, il Kosovo che pure sono albanesi ma sono e saranno diversi…

L’uomo mi guardava pensoso. Mi sono fermato. Lui ha detto:

-Non si sta bene in Italia, non c’è niente di buono davanti, c’è disoccupazione, soprattutto tra i giovani…

-Per noi c’è lavoro! – gli ho detto.

Mi ha guardato perplesso. Ho capito che pensava alludessi agli albanesi che fanno imbrogli e rapine e portano droga e gestiscono prostituzione. Così ho ripreso a parlare:

-Non ce ne sono più di italiani che fanno i muratori e trasportano mattoni e cemento, che raccolgono frutta nelle campagne d’estate, o che portano al pascolo greggi per giorni e per notti e fanno formaggio di capra e di pecora, o che lavano cessi…

Lui mi ha interrotto:

-Ed ha senso venire in Italia per fare questi lavori? Non è meglio restare?

foto di Patrizia Posillipo

L’ho fissato. Ero sul punto d’iniziare a parlare, di dirgli “Lo sai quanto prendo e solo d’estate? Lo sai che mia madre non ha medico e medicine e oramai si trascina come una vecchia? Lo sai che qui non c’è lavoro in inverno, e che in inverno c’è solo freddo e disperazione? Lo sai che qui devi conoscere per ogni piccola cosa, e mia madre non conosce nessuno e mai nessuno ha voluto conoscere?” E lui allora mi avrebbe risposto: “E pensi che avresti medico e medicine con i lavori che hai nominato? Pensi che avresti una casa, o che potresti sposarti e fare dei figli?”. E io gli avrei ribattuto: “Sarei in Italia, in Europa, dove tutto è più semplice e comodo e presto o tardi mi passerebbe davanti una buona occasione. Magari qualcuno mi farebbe portare una partita di droga, mia mamma non verrebbe a saperlo, forse lo immaginerebbe a distanza di mesi o di anni vendendomi fuori dalla miseria per sempre, e allora ne sarebbe felice dentro di sé… E seppure nessuna occasione mi passasse davanti, seppure dovessi patire la fame, sarebbe in un posto migliore, con le ragazze e i ragazzi che hanno gusto e vestiti e spensieratezza negli occhi. Almeno godrei nel vederli, a immaginarmi cresciuto come uno di loro”.

Tutto questo ero sul punto di dirgli, ma il tempo non sarebbe bastato. Così, in modo da fargli capire, ho velocemente abbracciato con uno sguardo accigliato il coltello, le spigole che ancora non avevo pulito, il grembiule marrone e rosso di sangue e interiora, la baracca con le conche e il padrone, che adesso mi stava guardando poiché c’era un altro cliente cui pulire tre pesci, albanese stavolta, con l’aria di chi va di fretta.

Fingendo di non averlo notato, ho riabbassato la testa per raschiare le squame dell’ultima spigola dell’italiano, ripulirgli la pancia, sciacquarla, avvolgerla dentro la carta, allungare il braccio e passare la busta, con un movimento deciso che ha indotto l’albanese ad avvicinarsi e allungarmi i suoi pesci, l’italiano finalmente a capire che non c’era più tempo e allora a farmi un sorriso dolce e un po’ divertito, come a dirmi che stavo sbagliando, che qualcuno mi aveva messo in testa stronzate, quindi – in un istante veloce, simile a quello in cui avevo abbracciato il coltello, il grembiule marrone e rosso di sangue, la baracca e le conche e il padrone – a guardare il tramonto, il mare pulito, la costa rocciosa, le colline verdi alle spalle, ed a dirmi un’ultima cosa prima d’incamminarsi e sparire per sempre dalla mia vista:

-E’ una terra bellissima, e si vive con poco.

A mezza bocca, senza sorriso, gli ho detto:

-Ma non è l’Europa.